L’incontro di venerdì notte alla Chesapeake Energy Arena tra Thunder e Detroit Pistons (poi vinto largamente dai padroni di casa 103-87), ha rappresentato il ritorno di Reggie Jackson in quel di Oklahoma City, luogo diventatogli ostile dopo le dichiarazioni e la trade che lo hanno portato in Michigan l’anno scorso.

Spedito alla corte di coach Stan Van Gundy nel febbraio 2015, in un scambio a tre con i Jazz che portò in Oklahoma Kyle Singler, Enes Kanter e DJ Augustin, il playmaker nato a Pordenone, voglioso di avere più minuti e di mostrare il proprio valore in una squadra che gli permettesse di essere titolare, ha subito trovato la sua dimensione, facendo registrare, in 27 partite con la nuova maglia, 14,6 punti e 6 assist di media.

Quest’anno, complice anche l’assenza di Brandon Jennings, Jackson è partito ancora più forte, affinando la sua intesa con Andre Drummond e viaggiando a 18,4 punti, 4,4 rimbalzi e 6,1 assist in 30 minuti di utilizzo medio.

Jackson

La partita di venerdì, contro molti dei suoi ex compagni di squadra, era però molto particolare e, nonostante le dichiarazioni della vigilia (sue e dei giocatori dei Thunder), è indubbio che il ragazzo l’abbia sentita, avendo avuto per tutta la serata problemi di falli e chiudendo con 4/16 dal campo (15 punti) e 4 assist in 27 minuti scarsi di gioco.

Durante il match, Jackson è stato preso di mira e fischiato molto spesso, cosa che lui ha detto di “amare, perché segno di un ricordo ancora vivo tra i tifosi e per esser ricordato devi aver fatto qualcosa di speciale”, ma che sicuramente ha influito e condizionato la sua gara innervosendolo, come dimostrano le parole (non proprio educate) rivolte a una persona che lo stava filmando dietro la panchina dei Pistons.

Al termine della partita, il 25enne nato in Italia ha preferito soffermarsi a lungo sull’analisi dell’incontro, dichiarando come la squadra abbia fatto “un grande sforzo per restare in partita, ma nel secondo tempo la presenza avversaria a rimbalzo offensivo e l’incapacità di segnare” li ha di fatto condannati, e come lui abbia giocato “la sua partita”, durante la quale semplicemente “non sono entrati diversi tiri”, ma in generale si senta bene. “Devo solo spingere di più in transizione per creare tiri facili e migliorare il ritmo della squadra in attacco”, ha concluso.

Jackson

Alla fine, però, non ha potuto sottrarsi alle domande sull’ambiente che ha trovato, riguardo al quale ha ammesso che, nonostante per lui si trattasse “di una gara normale, forse mi sono fatto prendere un po’ troppo dal nervosismo di giocare dove ho iniziato la mia carriera e dove ho un sacco di ricordi”.

Una dichiarazione distensiva, quest’ultima, con una nota lievemente nostalgica che certamente non ha impietosito né addolcito, invece, Russell Westbrook.

Il numero 0 dei Thunder, l’anno scorso, prima dello scambio fortemente voluto da Jackson e richiesto anche attraverso i media, si era espresso, al tempo, affermando che la squadra manteneva chance di vincere il titolo anche senza di lui e che, se c’era qualcuno (riferendosi chiaramente a Jackson) che non voleva stare lì, non si poteva costringerlo a restare.

Jackson

Venerdì, nel post-partita, Westbrook ha rincarato la dose e, alla domanda di un cronista che gli chiedeva se avesse saputo delle dichiarazioni di Jackson sul suo ritorno in Oklahoma, ha risposto “Chi?”, facendo poi intendere che lo spogliatoio non si era fatto toccare da quella vicenda e che lui e i suoi compagni non avevano parlato di un giocatore di un’altra squadra.

Alla freddezza più totale da parte del playmaker dei Thunder, hanno fatto invece da contraltare le dichiarazioni di Durant, che invece ha mostrato un’apertura sul tema. L’anno scorso il nativo di Washington, come il compagno, aveva affermato, riguardo a possibili scambi di mercato, che aveva la percezione che fossero rimasti tutti “eccetto un ragazzo” e che, a cose fatte, “lui aveva ottenuto ciò che voleva”.

Tre giorni fa invece, prima di affrontare Reggie in campo, si è detto felice per quello che lui sta producendo a Detroit e che “anche se è finita male la storia l’anno scorso, so quanto ha lavorato e quanto è grande come compagno di squadra. Ogni ragazzo vuole la possibilità di essere titolare. […] rispetto un ragazzo che vuole quest’opportunità e […] alla fine Reggie sarà sempre un fratello per me e sono eccitato e contento della possibilità di giocarci contro stasera”.

Jackson

Forse sono solo parole destinate a perdersi nel tempo (anche se quasi mai quelle di KD35 lo sono), ma certamente le frasi pronunciate dall’MVP del 2014 potrebbero rendere meno pesante il clima dei prossimi incontri in cui Oklahoma City e Jackson si ritroveranno faccia a faccia e potrebbero rappresentare il tentativo, almeno da parte di Durant, di lasciarsi alle spalle tutte le incomprensioni e le frizioni dell’anno scorso, che hanno fatto sì che il numero 1 dei Pistons si lasciasse male con i compagni e tutto l’ambiente e venisse crudelmente additato come un sabotatore.

Il primo passo dunque è stato fatto, ora tocca a Jackson decidere se deporre l’ascia di guerra. Il tempo per riflettere, fino alla prossima sfida (un anno circa), non gli manca.