Aveva bisogno di un nemico, anche quando non c’era. Michael Jordan è stato un genio ossessivo, capace di trasformare un affronto inventato in 36 punti a tempo. E tutto è iniziato da un taglio inaspettato, quando era solo un ragazzino
Quando si parla di NBA non si può che pensare a Michael Jordan. Il più grande di sempre? Probabilmente sì, anche se poi queste classifiche generano sempre delle controversie nelle quali non vogliamo proprio intrometterci. Ma di certo stiamo parlando di un atleta meraviglioso, uno di quelli che restano nella leggenda non solo dello sport che praticano ma anche dello sport in generale.
Ci sono tante storie legate al passato da cestista di MJ e per alcuni di quelli vi invitiamo a guardare la serie The Last Dance su Netflix, davvero entusiasmante.
Alcune però riguardano anche il suo passato prima ancora di iniziare a giocare e, come spesso accade in questi casi, mescolano realtà e leggenda in quel modo che contribuisce a costruire i miti che fanno parte del nostro immaginario collettivo.
Ad esempio c’è un aneddoto che riguarda l’adolescenza: era il secondo anno di liceo e Michael voleva entrare nella squadra di basket della scuola, ma l’allenatore gli preferì un altro ragazzo.
Lui ne fu devastato e si chiuse in palestra per un’estate intera, allenandosi ai limiti dell’ossessività, riuscendo ovviamente ad accedere al team l’anno dopo. Un episodio che racconta la forza d’animo, la resilienza, la determinazione che l’hanno portato a diventare un campione.
Tante le storie che riguardano Jordan, quelle che vanno oltre la sua biografia e il palmarès di una carriera incredibile. Una di queste riguarda le famose Jordan Rules, quelle che i Detroit Pistons a fine anni ’80 costruirono addosso a lui: quando si affrontava Michael c’era una marcatura “speciale” dedicata solo a lui: contatti duri, falli sistematici, fisicità estrema.
Michael Jordan veniva letteralmente preso a botte. Ma questo rappresentò per lui un’ulteriore spinta ad allenarsi ulteriormente per costruirsi il fisico statuario che poi abbiamo ammirato negli anni. Quello è stato il momento in cui è passato da “fenomeno individuale” a “vincente seriale”.
C’è poi quella storia che riguarda LaBradford Smith, un giovane che nel corso di un match a Washington segnò ben 37 punti in faccia a Jordan, prendendolo in giro a fine partita con un “Bella partita, Mike”. Il giorno dopo ci fu la rivincita e MJ ne segnò 36… ma solo nel primo tempo.
La carriera di Smith durò un battito d’ali ma anni dopo Jordan ammise candidamente che Smith non aveva mai detto nulla: si era inventato tutto per caricarsi. Questo è Jordan: si auto-creava nemici anche se non esistevano. Queste, e molte altre, le storie favolose che hanno contribuito a creare il mito di un campione indimenticabile, che ancora oggi fa parte dei nostri racconti e probabilmente lo farà per sempre.
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