“Quando sentiamo il bisogno di mettere in discussione il nostro supporto per gli altri, in momenti critici come quelli in cui una vita è sospesa in equilibrio, allora è nostro dovere mettere in discussione il tipo di cultura che abbiamo creato, che ci ha portato fino a tali insensibili sospetti.”

Kobe Bryant su Lamar Odom.

Questa frase dovrebbe far capire quanto Lamar Odom, ancora in gravi condizioni, abbia contato nell’economia di un team glorioso quali i Los Angeles Lakers degli anni 2000 ma – soprattutto – per Kobe Bryant, sociopatico per natura, ma legatissimo al suo ex compagno di squadra.

Spendiamo un sacco di tempo a rendere lo sport più importante di quello che effettivamente è, ma se guardiamo al percorso di vita di Lamar ci accorgeremo di quanto esso abbia influito sulla sua vita, e dei valori che ha lasciato nel cuore della gente: le relazioni che ci arricchiscono, la diversità che porta il sollievo, la competizione che motiva e quegli obiettivi che vale la pena tenere a mente, sia se raggiunti sia se mancati.

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Odom è l’esempio di come il basket – così come lo sport di squadra in generale – arricchisca l’esistenza e ci aiuti ad essere quello che siamo: il sesto uomo dei famosi Lakers del back-to-back ha dato sempre il meglio per il gioco e la testimonianza sta nella reale coesione di qualsiasi spogliatoio lui abbia calcato oltre che nell’altruismo che ha sempre dimostrato sul parquet! Nonostante come uomo squadra eccellesse, le profonde mancanze si ritrovavano tutte nel suo più intimo “io”.

Odom ha 35 anni, la stessa età di Pau Gasol, che è stato un All-Star nella scorsa stagione, ed è più giovane di Kobe che a 37 è ancora il leader dei Los Angeles LakersInvece Lamar è stato trovato privo di sensi in un bordello a fare quello che dice la disperazione, non più un allenatore, non più un capitano. Solo disperazione. Ed è attaccato a un filo tra la vita e la morte. Gasol, Bryant, Bynum: potrete parlare con tutti, e vi diranno quanto Lamar Odom era attaccato al suo team, da qualsiasi punto di vista. Si offendeva profondamente se qualcuno criticava la sua squadra, mentre quando prendevano in giro lui se ne fregava altamente e bastava fare “spallucce” per risolvere il tutto!

Nel Marzo del 2010 nello spogliatoio si stava rispondendo alle domande dei media e Odom simbolicamente si girò di spalle verso il resto del team, per dimostrare quanto era deluso da come quella squadra detentrice del titolo fosse diventata. Le parole furono taglienti, ma allo stesso tempo determinate a risolvere un problema che era di squadra – si –  ma affliggeva Odom come un dolore fisico, come un male profondo. E lo spogliatoio andò nella direzione giusta dopo quelle parole da leader cinico e silenzioso! I Lakers – ovviamente – si confermarono campioni qualche mese dopo!

Si capisce adesso quanto l’alchimia di squadra abbia contato nella vita di Lamar: l’avere degli obiettivi, delle direzioni precise, un ordine comportamentale è stato fondamentale per un ragazzo dalla vita amara, ma dal talento sconfinato.
I suoi compagni gli stettero al fianco persino al suo matrimonio con Khloé Kardashian: Ron Artest gli fece conoscere la sua futura compagna, Jerry DeGregorio – allenatore ai tempi del college – pronunciò il discorso del testimone, i suoi agenti e la famiglia del basket erano tutto ciò che aveva! Quando la sua carriera è volta al termine, però, Odom ha perso le tracce di molti suoi compagni in NBA, anche di alcuni del suo stesso team.

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Le spalle larghe di Odom sono state spesso scosse da morti improvvise e non è sorprendente il fatto che prima o poi sarebbe crollato. Questo è un ragazzo che ha perso la madre quando aveva 12 anni ed un uomo che ha perso un figlio di soli sei mesi e mezzo. Un padre eroinomane ed una nonna che l’ha cresciuto, la cui perdita è costata altre dolorose lacrime al Lamar sempre sorridente che siamo abituati a vedere!

Le numerose testimonianze, i messaggi di affetto, la presenza di Kobe all’ospedale, la solidarietà dell’ambiente basket e di milioni di tifosi a supportare Odom sono la conferma di quanto quest’uomo sia stato importante per le sue squadre e di quanto lo sport lo abbia aiutato ad alleviare l’oscurità che il destino gli ha riservato.

Ora serve l’ultimo passo, l’ultimo step verso il ferro, il canestro allo scadere che ti fa riprendere – per l’ennesima volta – quella vita che ha voluto sempre sfuggirti di mano.
Lo devi allo sport, Lamar… Lo devi a te stesso.