Timeout

TIMEOUT | Manu Ginobili: la mano sinistra di Bahia Blanca

Un campione venuto fuori dal nulla, all'insegna dell'etica del lavoro, l'umiltà e con il tocco magico nel sangue

Alberto Pacini
28.03.2021 13:19

San Antonio, 5 maggio 2017.

Quella di stasera è una di quelle partite destinate a far soffrire tanto le due tifoserie, ma anche a far divertire molto i tifosi neutrali. Gli Houston Rockets fanno visita ai San Antonio Spurs per una gara-5 di una serie di Semifinali di Conference fin qui davvero avvincente. Fino ad ora le due squadre si sono spartite la posta in gioco e si ha la sensazione che sarà proprio questa la partita che farà pendere l'ago della bilancia verso una delle due pretendenti.

Si affrontano l'oliatissimo sistema Spurs contro i lampi di genio di Harden e compagni, in un match tutto da vedere. Le prime frazioni di gioco non riescono ad indirizzare la gara, e si arriva dunque agli ultimi minuti con il punteggio in sostanziale parità. Con poco più di 45 secondi rimasti sul cronometro, gli speroni, sotto di due, hanno la possibilità di riacciuffare gli avversari. Leonard lascia il possesso nelle mani di Ginobili, il quale, con il movimento che lo contraddistingue, penetra, vola al ferro e di mancino appoggia due punti al tabellone. 101-101 e possesso Rockets, Mike D'Antoni opta per il TIMEOUT!

Una giocata apparentemente facile, ma che in realtà implica una padronanza del corpo ed una sensibilità nei polpastrelli davvero fuori dalla norma. Non sembra essere un problema per Manu Ginobili, stella argentina di San Antonio, il quale però ha anche il vantaggio di essere abituato a questi grandi momenti. Una carriera gloriosa la sua, che nessuno agli inizi avrebbe pensato possibile.

Come detto, è argentino, nasce infatti a Bahia Blanca, un paesino tutt'altro che favoloso sulla costa sudamericana, dove muove i primi passi nella pallacanestro. Fin da piccolo infatti, segue le orme dei due fratelli maggiori, intraprendendo la strada verso il mondo della palla a spicchi.

Diciamo che fu anche una scelta piuttosto ovvia, in quanto se sei argentino e detesti il calcio, o ti butti sul polo, ma i cavalli non erano la sua passione, o inizi appunto a calcare i campi da basket. La sua prima avventura, ancora adolescente, fu proprio nella squadra locale, dove fece sin da subito apprezzare non tanto il suo talento cristallino, quanto la sua etica del lavoro e la sua dedizione al gioco.

"Non è facile arrivare a questi livelli. Se vuoi essere il migliore, devi lavorare duro, devi romperti il culo. Tanti vorrebbero una vita come la nostra, e lo capisco, ma per arrivare a questi livelli sono necessari anche tantissimi sacrifici."

E Manu questi sacrifici li fece sin da subito. Quando gli amici lo chiamavano per andare sulla spiaggia, rinunciava per potersi allenare, quando la sera i ragazzi uscivano per divertirsi, lui andava a letto presto per ricaricare le pile al massimo per la giornata seguente. Tutto questo però servì, in quanto di lì a pochi anni Ginobili si affermò nel massimo campionato argentino e arrivò fino a fare il grande salto verso l'Italia. Nonostante fosse il fratello minore, fu il primo dei tre ad avere il coraggio di lasciare casa per inseguire il suo sogno.

La Viola Reggio Calabria aveva visto in quel ragazzo delle abilità straordinarie, messe in mostra sempre con moltissima umiltà. Già, perché il buon Manu, nonostante l'arrivo del successo, rimase sempre umile e con la testa sulle spalle, il primo ad entrare in palestra e l'ultimo ad uscire, con sempre un sorriso per tutti. Non a caso, strinse un'amicizia molto forte con il custode societario, il quale doveva ogni volta aspettare per chiudere.

I due si sentivano anche per telefono, ed un giorno il telefono di Ginobili squillò mentre era nelle mani della sua fidanzata e futura moglie Marianela. Era proprio il custode che voleva avvertire della cancellazione dell'allenamento che sarebbe altrimenti andato in scena di lì a poco. Al sentir rispondere una voce femminile, chiese chi fosse, e alla ovvia risposta di Marianela se ne uscì con uno scherzoso 'Quale delle tante fidanzate?'. Uno scherzo che costò un bel litigio al povero Ginobili che impiegò più di un giorno per rimediare alla battuta del custode.

Gli anni passati nel Bel Paese però, gli valsero l'ambitissima chiamata in NBA. Manu si rese infatti eleggibile al Draft del 1999 e venne scelto, con grande stupore, solamente alla 57esima scelta, rischiando anche di non essere draftato. Nessuno infatti oltreoceano lo conosceva, e lo scout dei San Antonio Spurs lo scoprì per puro caso vedendo una partita della nazionale argentina.

Gli speroni decisero saggiamente di lasciarlo ancora qualche anno in Italia a maturare, dove Manu cambiò casacca e passò alla Virtus Bologna per farsi un nome anche a livello europeo. Prima di accasarsi in America infatti, si tolse ogni sfizio possibile nel vecchio continente, vincendo la Serie A, la Coppa Italia ed anche l'Eurolega da MVP.

Alcuni pensavano che il ragazzino di Bahia Blanca stesse facendo il passo più lungo della gamba a sbarcare in NBA e che la sua giusta dimensione fosse qua in Europa, ed agli inizi effettivamente i fatti diedero ragione agli scettici. Nei primi allenamenti coach Pop vedeva sì tutta la grandissima intelligenza in campo di Manu, ma trovava anche assurde alcune sue decisioni sul parquet. Le eccessive giocate forzatamente spettacolari, con dietro schiena e passaggi no-look, non erano visti di buon occhio dal buon Gregg, che si fece diverse chiacchierate col nuovo arrivato.

Subito nella prima stagione infatti si ebbe la sensazione di veder giocare un uomo e non più un ragazzo, le giocate spettacolari c'erano ancora, daltronde erano nel suo sangue, ma adesso erano molto più ponderate e non più fini a se stesse. Il primo anno arrivò subito il titolo ed i giornali iniziarono a parlare di Manu come la steal of the draft dell'anno. Sì, ci avevano preso, ma la carriera confermerà che non solo lo fu di quell'anno, ma di tutta la storia della Lega. In America diventerà infatti un simbolo degli speroni, con i quali vincerà quattro titoli e contribuirà a creare la dinastia Spurs con Tony Parker e Tim Duncan, spendendo tutta la carriera in Texas.

Lo abbiamo lasciato per l'appunto con ben 39 primavere alle spalle e una partita da vincere per tenere vivo il sogno. Dopo quel suo canestro però, nè Harden prima, nè Mills poi, sono in grado di segnare, spedendo la partita al tempo supplementare. Come detto, l'età delle colonne portanti di San Antonio non aiuta, se in più Leonard è costretto a stare ai box per infortunio, sembra non ci sia via di scampo. Effettivamente sembra che i Rockets ne abbiano di più, e provano ovviamente a dare il loro ritmo alla gara. Negli ultimi secondi di gara però, complici due bombe senza senso di Danny Green, Houston si trova sotto di tre.

L'ultima azione è ovviamente nelle mani di James Harden, immarcabile per tutto l'anno, che si ritrova proprio Manu sulla sua strada. Lo finta in maniera eccellente, lo brucia sullo scatto e si avvicina alla linea del tiro da tre per lasciar andare il tiro del pareggio. Non appena porta la palla sopra la testa, spunta una mano da dietro che stoppa il tiro e permette agli Spurs di vincere. C'è davvero bisogno che vi dica di chi è?

Commenti

I SIGNORI DELLA NBA: Michael Jordan
Houston ci prova: pronto il contratto per Capela!