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Boston e il prezzo della giovinezza

La conferma del roster biancoverde ha prodotto un semi-immobilismo sul mercato NBA, legando così le fortune dei Boston Celtics alla crescita dei propri talenti.

Antonello Brindisi
20.04.2021 16:21

La stagione dei Boston Celtics continua a vivere un processo di crescita a fasi alterne. La scelta del GM Danny Ainge di blindare il proprio roster sembra però aver indebolito la candidatura della franchigia verso un posto nelle Finali di Conference, alimentando i malumori dei propri tifosi. Oltre agli infortuni e alle varie vicissitudini legate alla pandemia, a pesare sulla stagione dei biancoverdi è soprattutto la scelta di preservare il blocco ormai consolidato del proprio roster.

I rinnovi al massimo salariale di Jayson Tatum (195 milioni di dollari dal 2021/22 al 2025/26) e Jaylen Brown (115 milioni di dollari dal 2020/21 al 2023/24) erano tanto pronosticabili quanto imprescindibili, ma la ferma volontà di trattenere Marcus Smart e Kemba Walker ha bloccato qualsiasi implemento di peso nel roster di coach Brad Stevens, costringendo l’allenatore a puntare esclusivamente sulla crescita dei propri talenti.

La ricerca di un pivot di primo livello da schierare nello starting-five ed una maggiore consistenza nella produzione punti in uscita dalla panchina dei Cetlics, erano infatti i due imperativi da assolvere per poter mantenere lo status di prima contender della Eastern Conference, soprattutto se si considera la gigantesca trade exeption da 28.5 milioni di dollari (record nella storia NBA) che si era generata con la cessione in estate di Gordon Hayward via sign and trade.

Gli arrivi di Tristan Thompson (prima dello scoccare della regular season tramite MLE), Evan Fournier (a ridosso della trade deadline utilizzando parte della TPE di Hayward, circa 17 mln) e la successiva firma dal mercato dei Free Agent di Jabari Parker (tramite un two-year deal di cui il secondo anno non garantito), hanno solamente tamponato le lacune del roster biancoverde, disilludendo dunque i sogni di gloria dei tifosi, consapevoli delle carenze della propria squadra in rapporto alla crescita dei Brooklyn Nets e delle superpotenze della Western Conference.

Una doccia fredda difficile da digerire nel Massachusetts, sopratutto se si guarda alla contemporanea evoluzione messa in atto dai Milwaukee Bucks e dai Philadelphia 76ers che ha di fatto segnato un marcato passo indietro dei Celtics nelle gerarchie della lega. Le note difficoltà offensive e la netta involuzione nel contenimento difensivo hanno confermato i timori che aleggiano sopra il TD Garden, mettendo dunque l’operato di Ainge sul banco degli imputati.

Ciononostante, il GM dei Celtics è sempre apparso ottimista e sicuro del proprio operato, rassicurando più volte l’ambiente attorno alla franchigia. Un comportamento che a primo impatto, ha suscitato stupore ma che se analizzato a più riprese, mostra le proprie buone ragioni.

Danny Ainge potrebbe infatti riprendere i 17 milioni di dollari della TPE nel corso della prossima Free Agency estiva utilizzando una nuova sign and trade sul contratto da UFA di Fournier, oppure confermare la sharpshooting guard con un contratto più agevole esercitando i Bird’s right (un rapporto di causa-effetto generato proprio dalla sign and trade concordata con i Magics), avendo dunque una sufficiente elasticità salariale per poter mettere le mani sull’agognata All-Star.

Inoltre la cessione di Daniel Theis (il cui contratto si sarebbe rinnovato tramite una player option nel corso della FA) a favore di Mortiz Wagner e Luke Kornet (il primo tagliato per creare spazio salariale) e il buyout sul veteran contract di Jeff Teague (evento successivo alla sign and trade messa in piedi con Orlando), aprono le porte ad una vera e propria rivoluzione biancoverde nell’allestimento della tanto criticata second unit. Il monte salariale non rappresenta dunque un ostacolo nell’immediato futuro per i Boston Celtics, attualmente in pieno controllo della temuta luxury tax.

Oltre il complicato disegno economico della Free Agency ed oltre la certezza rappresentata da Jayson Tatum e Jaylen Brown, la scommessa cestistica di Danny Ainge porta il nome di Robert Williams III. Se infatti il muro eretto dal GM per proteggere i due All-Star nel Massachusetts appare piuttosto scontata e quantomai corretta, il rifiuto di voler trattare uno scambio che coinvolgesse Kemba Walker o Marcus Smart, sia nel corso della scorsa estate che negli ultimi giorni antecedenti la trade deadline, ha sorpreso la gran parte degli addetti hai lavori presenti in NBA. Una decisione fuori da ogni pronostico se si pensa che le contropartite tecniche erano di primo livello.

Prima il rifiuto di imbastire una maxi trade con gli Indiana Pacers per prelevare Myles Turner, bollato come un carattere poco professionale per poter assicurare la validità dell’investimento in atto, poi la rinuncia ad Aaron Gordon (causata da un’eccessiva valutazione da parte dei Magic) nello scambio che ha poi generato l’arrivo Fournier .

Entrambe le decisioni nascono dalla grande fiducia di Ainge e Brad Stevens nelle potenzialità di Robert Williams III, giovane pivot che nel corso di questa regular season sembra poter confermare le grandi aspettative grazie ad una crescita finalmente costante. Un talento che destava dubbi per via dei continui alti e bassi sul piano caratteriale ma che al momento, sembra aver trovato una stasi in grado di migliorarne l’impatto tattico e fisico partita dopo partita.

Non è un caso infatti che i miglioramenti mostrati da Time Lord siano coincisi con un parziale di 8-2 per i Celtics (7 partenze nello starting-five e 3 assenze causa infortunio) nelle ultime 10 partite giocate; una vera e propria boccata d’ossigeno per Boston, tornata prepotentemente in corsa per un posto da testa di serie (31-26, record valido al momento per il 5°posto nella Eastern Conference) nella prossima griglia dei Playoffs.

Un cambio di ritmo netto nella propria regular season, che naturalmente porta la duplice firma di Jayson Tatum (28.9 ppg; con il 51% dal campo, il 40% da tre e il 91.4% nei tiri liberi in 35.5 minuti di media nelle ultime 10 partite giocate) Jaylen Brown (24.7 ppg; con il 54% dal campo, il 43% da tre e il 71% nei tiri liberi nellue ultime 9 partite giocate), ormai non solo degni pretendenti dell’etichetta di All-Star ma stelle assolute nel panorama d’elite della NBA sia nel presente che nel futuro della lega. Uno status che i due campioni statunitensi hanno acquisito senza dubbio grazie alla paziente gestione (e protezione) del duo Ainge-Stevens. Un processo che sembra poter ripartire una seconda volta, grazie al talento espresso dal rookie Payton Pritchard.

Proprio grazie al talento e alla smisurata energia messa in campo dall’ex Oregon State, il recupero e la gestione della tormentata caviglia di Kemba Walker sembra ormai solo un brutto ricordo per i Celtics. Bisogna infatti ricordare che la squadra di Stevens ha subito, dati alla mano, le conseguenze peggiori sulle defezioni da Covid-19; una condizione che spesso ha messo in luce l’assenza o le difficoltà del rientro di Walker, egregiamente tamponate dalle prestazioni di Pritchard.

La crescita del giovane playmaker ha svolto un ruolo fondamentale anche sul fronte mercato, allontanando a più riprese qualsiasi voce che vedesse il numero otto lontano dal TD Garden (si è infatti a lungo prospettato un avvicendamento con John Wall). Il futuro del rookie biancoverde sembra ormai scritto, come per Tatum e Brown, dietro l’esperienza di due veterani come Marcus Smart e lo stesso Walker.

La scelta concordata tra Danny Ainge e Brad Stevens continua imperterrita verso la stessa direzione: la crescita dei propri giovani talenti. Una decisione che sembra ormai scolpita nel futuro dei Celtics, incuranti degli acquisti dei propri avversari e quantomai concentrati sulla propria evoluzione. L’obiettivo rimane ben chiaro, rianimare le speranze dei propri tifosi ottenendo i risultati sperati e dimostrare a tutto il circuito NBA che il futuro è già nelle mani delle proprie giovani stelle.

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