Molti di voi ricorderanno come la recente vittoria del premio di Rookie of the Year da parte di Malcolm Brogdon sia stata del tutto inaspettata. Andando a ripercorrere la vicenda per punti, il vincitore da tutti designato per il riconoscimento in questione, ovvero Joel Embiid, fu sostanzialmente messo da parte a causa dei suoi numerosi infortuni che lo costrinsero a disputare solamente 31 delle 82 gare di calendario: troppo poche per poter ambire al premio di Rookie of the Year.
Con Embiid fuori dai giochi, allora tutti i riflettori furono puntati sul suo compagno di squadra ai 76ers, ovvero il croato Dario Saric, autore a livello personale di una super stagione, con medie di 12,8 punti, 6,3 rimbalzi, 2,2 assist in appena 26,3 minuti di impiego a partita.
Eppure, non senza stupore, alla fine a primeggiare fu il rookie nativo dello stato della Georgia, il quale, sotto le direttive di coach Kidd, riuscì a dimostrare un’ottima solidità in campo mettendo su delle medie di tutto rispetto: 10,2 punti, 4,2 assist, 2,8 rimbalzi, 1,1 palle rubate, appena 1,5 palle perse, con il 45,7% dal campo (complice un eccellente 40,4% dalla lunga distanza) in appena 26,4 minuti di impiego a partita.
Occorre ricordare che durante la passata stagione, ben prima del riconoscimento di Rookie of the Year, non tutti hanno sempre saputo vedere queste qualità nel playmaker dei Milwaukee Bucks e, complice anche quella chiamata così alta con cui fu scelto per far parte del mondo NBA (appena la 36esima assoluta), iniziò a crearsi una’aura da underrated intorno al talento guidato da coach Kidd.
Underrated appunto, oppure sottovalutato se preferite, fatto sta che in questo clima il numero di estimatori ha iniziato poco per volta a superare il numero dei detrattori, fino a sfociare, complice anche un’insperata corsa ai playoff da parte dei Bucks, nel già citato riconoscimento di Rookie of the Year.
Malcolm Brogdon, una 36^ chiamata al draft (t-r-e-n-t-a-s-e-i-e-s-i-m-a !) che ha messo su qualche buon numero ma nulla di più, addirittura Rookie of the Year? Forse è troppo, forse Malcolm Brogdon è un sopravvalutato! Questo è quello che devono aver pensato molti addetti ai lavori e, con ogni probabilità, questo è quello che devono aver iniziato a pensare anche gli stessi Milwaukee Bucks, quando hanno provato a scambiarlo con i Cleveland Cavaliers per arrivare a Kyrie Irving.
Mettiamoci per un momento nella testa della dirigenza Bucks, Malcolm Brogdon è realmente il playmaker che può portarci al titolo? Forse la domanda è mal posta, ma sicuramente se fossimo di fronte a mostri sacri del calibro di Phil Jackson o Larry Brown siamo pronti a scommettere che questi risponderebbero che Malcolm Brogdon è realmente un playmaker che può accompagnarci (badate bene, non portarci) al titolo. Per caratteristiche fisiche, tecniche e tattiche Brogdon può essere quel giocatore che ogni allenatore vorrebbe nel proprio roster. Con i suoi 196 cm per 97 kg, che gli permettono di essere in grado di giocare in più posizioni sia in attacco che in difesa, Malcolm Brogdon è a tutti gli effetti quell’arma letale che ogni coach vorrebbe poter sfoderare durante una partita.
Raramente sopra le righe (chiedere però a King James per questi rari momenti), sempre sotto controllo e funzionale alla squadra, tiratore mortifero (40,4% dalla linea dei 3 punti che diventa addirittura 48,9% dagli angoli), cattivo al ferro come pochi (40,6% dei suoi tentativi arrivano lì con una percentuale di realizzazione del 56,2%), siamo sicuri che, nonostante le recenti voci di trade, con la giusta fiducia e nel giusto contesto (non necessariamente ai Bucks) Malcolm Brogdon saprà farsi valere in questa fantastica lega chiamata NBA.