Ovest

Polemos e logos: Houston al cospetto di Golden State!

L’ossimoro imposto dalle Finali della Western Conference ha messo in mostra due filosofie di gioco in perenne lotta tra loro.

Antonello Brindisi
16.05.2018 23:32

Così come l’essere umano è spesso tormento dalla propria ricerca dell’Io tra l’armonia e il caos, il fatidico faccia a faccia tra i Golden State Warriors e gli Houston Rockets infiamma l’eterno dualismo tra l’individualismo cestistico e una manovra di gioco perfettamente calibrata sul diktat dell’equilibrio collettivo. Davanti al verdetto sancito dalla regular season (i texani possono vantare un record da 65 vittorie e 17 sconfitte ma soprattutto, un differenziale di 7 partite di distacco nei confronti degli stessi Dubs), questo sottile equilibrio di forze sembrava poter rappresentare un vero e proprio demiurgo nel futuro delle NBA. Il primo giudizio emesso dalla serie tutt’ora in corso, ha proposto invece una differenza tattica piuttosto netta, perfettamente sintetizzata nelle prestazioni offensive di Kevin Durant e James Harden.

La natura di questo ossimoro nasce naturalmente dalla drastica differenza d’approccio nella produzione offensiva delle due realtà contrapposte. Nonostante entrambe le squadre mostrino una forte propensione all’utilizzo delle conclusioni dall’arco dei 3 punti, la gestione della palla e soprattutto la distribuzione delle conclusioni tentate rivelano una marcata differenza di pensiero tra il gioco collettivo utilizzato costantemente da coach Steve Kerr e la nuova versione del run n’gun proposto da coach Mike D’Antoni. Per comprendere a pieno questo scontro ideologico è necessario osservare la distribuzione delle percentuali offensive mostrate dal confronto statistico sulle principali propensioni realizzative cullate tanto da Golden State quanto da Houston.

Da una parte la libertà dell’estro, dall’altra il cinismo di una macchina perfetta. Praticamente il grande scontro tra i pesi massimi della lega che tutto il panorama della NBA stava aspettando. Eppure queste effigi non sono solo il frutto di un’estesa ideologia comune, al contrario, pongono le loro radici nell’evidente differenza statistica prodotta sul parquet. All’evidente strapotere nel pitturato mostrato dai Rockets, 35.0 % (12° posizione nel rapporto tra conclusioni tentate e realizzazioni messe a segno), contro il 31.8 % dei Dubs (26° nella lega), i Warriors rispondono con un perentorio 36.9% dal proprio mid-range (8° posizione generale nella NBA) contro l’esiguo impatto di Houston, 18.2 % (30° posizione nella lega).

Una netta differenza che emerge anche nell’utilizzo condiviso del tiro da 3 punti. Una peculiarità nella quale la grande circolazione di palla imposta dai californiani, autori di un centellinato numero di conclusioni da 3 punti, spesso distribuite equamente su tutto il perimetro (5.6 % dall’angolo, 26° posizione in NBA e 31.3 % complessivo, 14° posizione) pone l’ennesima linea di demarcazione con i texani, pronti a sfruttare il proprio cinismo realizzativo con un vasto utilizzo delle conclusioni dalla lunga distanza. A questa si aggiunge una preponderante settorizzazione nelle conclusioni dall’angolo (rispettivamente 11.3 % e 46.7%, entrambe le statistiche rappresentano la 1° posizione della lega).

Il legame tra le caratteristiche dei singoli interpreti e le statistiche sopracitate appare dunque piuttosto chiaro ed immediato. L’utilizzo del mid-range da parte di Golden State è sicuramente dettato dalla eccelse capacità tecniche dei propri fuoriclasse, come d’altronde l’estrema settorizazzione delle conclusioni di Houston nasce dalla propensione delle proprie stelle nel tentare una soluzione in isolamento. Davanti a questa chiave di lettura, il ruolo svolto da Kevin Durant e James Harden nel corso di gara1 può dunque dettare le basi per un accurato confronto ideologico.

Partendo dal presupposto che KD rappresenta senza ombra di dubbio il fattore x dei Dubs, sia nel confronto tra le coppie contrapposte (gli Splash Brothers hanno prodotto 46 pts, 10 reb, e 10 ast, mentre la coppia texana Harden-Paul ha risposto con un bottino da 64 pts, 15 reb e 10 ast) che sullo scacchiere tattico messo in piedi dai due tecnici (nella fase di contenimento Clint Capela e Draymond Green hanno prodotto una prestazione equivalmente), l’estrema duttilità del numero trentacinque ha costantemente supportato la manovra offensiva di Golden State: peculiarità che ha permesso una comoda rotazione in panchina a coach Steve Kerr, pronto ad arginare la grande vena realizzativa mostrata da James Harden.

Nonostante l’indiscutibile efficacia a canestro di The Beard (ad oggi il miglior attaccante in isolamento della lega nonche principale candidato al titolo di MVP), subito pronto a capitalizzare il miss-match offerto da Stephen Curry nella fase di contenimento. Le continue conclusioni in isolamento di James Harden (41 punti in 35 minuti di gioco, 14 su 24 al tiro con il 58.3% dal campo), non sono bastate a piegare il consolidato equilibrio tattico offerto dal lavoro collettivo dei quattro tenori dei Dubs, pronti ad alternarsi sul parquet per mantenere sempre vivo il dispendioso gioco corale richiesto da coach Kerr.

I 37 punti con il 51.9% dal campo (14 su 27) e il 50% dal perimetro (3 su 6), perfettamente distribuiti nel corso della partita da Kevin Durant, hanno dunque sancito una parziale supremazia dei Golden State Warriors, pronti ad espugnare sin da subito il Toyota Center di Houston, scaricando tutte le pressioni della serie sulle spalle dei Rockets. Gli uomini di coach Mike D’Antoni dovranno ora dare fondo a tutta la propria operosità offensiva per contrastare il forte spirito di gruppo incarnato dai Warriors, così da riconquistare repentinamente il prezioso fattore campo faticosamente ottenuto nel corso della regular season.

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