Boston Celtics

Brad Stevens, la maschera nuda del successo dei Celtics

Impeccabile nella stesura del copione, ineccepibile nella gestione degli attori: alla scoperta del regista di Boston

Francesca Bellizzi
19.05.2018 16:44

“Ogni fantasma, ogni creatura d’arte, per essere, deve avere il suo dramma, cioè un dramma di cui esso sia personaggio e per cui è personaggio. Il dramma è la ragion d’essere del personaggio; è la sua funzione vitale: necessaria per esistere.”

Se Brad Stevens abbia mai letto qualche pagina del teatro pirandelliano, è dubbio destinato a rimanere insoluto, come tanti altri che lo riguardano. D’altra parte, ogni regista che si rispetti ha i suoi segreti. Coach Stevens non fa eccezione: dietro la calma imperscrutabile e le parole misurate, oltre la faccia di bronzo e le espressioni di pietra, di segreti ce ne sono, e non pochi. Lavoro, sudore, rigore, disciplina, sacrificio, tanto per fare qualche esempio. Tutti ingredienti indispensabili in cabina di regia, specie quando c’è da allestire lo spettacolo del grande basket. Tutti segreti che, in fin dei conti, segreti lo sono ma neanche troppo. E allora, starete senz’altro pensando? Cosa c’è di diverso? La risposta non è una e non è semplice, ma quel che è certo è che c’è qualcosa di più grande, qualcosa per cui Brad Stevens è Brad Stevens e nessun altro. Qualcosa per cui, da quando è lui ad apporre la firma sul copione, tutta Boston può sperare e sognare, ancora una volta.

Se questa storia l’avessero raccontata nel 2013, nessuno ci avrebbe creduto. In pochi avrebbero avuto l’ardire di pronosticare che l’allora 37enne Brad Stevens, reduce da due clamorose e inaspettate finali NCAA con la semisconosciuta Butler University ma ancora a digiuno di panchine NBA, avrebbe potuto far risorgere la fenice del Massachussets dalle sue ceneri di smeraldo. Ma tant’è: se la vita è imprevedibile, lo sport sa esserlo di più. Il punto, però, è che di imprevedibile, nei copioni stilati da un regista come Stevens, c’è poco o nulla. Già, perché quando nella bolgia del TD Garden le luci abbaglianti dei riflettori proiettano, grandi e spiccate, le figure dei Personaggi, tutto è già scritto: dagli schemi d’attacco a quelli di difesa, dalle letture del gioco avversario alle scelte da prendere in campo. Non c’è niente – o quasi- che sia lasciato al Caso, nulla che non sia già stato proposto, discusso, progettato, sperimentato e approvato in sede di allenamento, dietro le quinte del grande show a cui si assiste in campo.

“The game honors toughness”, ha detto una volta coach Stevens. E di solidità, per ordire una trama vincente, ce ne vuole eccome. Perché il successo richiede tempo e il viaggio verso la meta esige pazienza. Brad Stevens lo sa. Lo ha sperimentato sulla propria pelle, prima da giocatore e poi da allenatore. Il salto dal parquet alla panchina non è stato semplice né immediato. E di certo, quelle due indimenticabili finali NCAA non erano sinonimo di garanzia assoluta nella NBA.Ma si sa, a volte il passo dall’azzardo alla lungimiranza può essere davvero breve. Impeccabile nella stesura del copione, ineccepibile nella gestione dei suoi attori, invidiabile nella valorizzazione del potenziale di ogni risorsa disponibile, Brad Stevens è la maschera nuda –per adoperare un ossimoro di pirandelliana memoria- dietro cui si cela il successo di Boston, non ultimo quello riportato in gara2 contro la corazzata guidata da King James.

Altro che fortuna, altro che mera esecuzione: ogni azione di gioco è pensata, calibrata, misurata e analizzata per essere ad alta percentuale di successo, offensiva o difensiva che sia. Non c’è, dunque, da stupirsi del fatto che siano stati sei i giocatori in doppia cifra nella serata di martedì; così come non c’è da stupirsi del fatto che la difesa intensa e serrata messa in campo nella ripresa sia riuscita ad abbassare drasticamente le percentuali al tiro di Cleveland (41% dopo il 51,2% fatto registrare nel primo periodo). Tutti sono coinvolti in un’esplosione di coralità in cui ciascuno può essere protagonista, dal veterano Al Horford ai più esplosivi Jaylen Brown (capocannoniere indiscusso nel trionfo di gara2 con i suoi 23 punti), Marcus Smart e Jayson Tatum. Di fatto, se Brad Stevens è in grado di proporre un numero tanto alto di schemi offensivi e di soluzioni difensive è perché il Vangelo della pallacanestro, nella sua prospettiva, parla chiaro: muovere la palla, applicare le migliori letture possibili, trovare la via più rapida ed efficace per arrivare a canestro. Il tutto obbedendo ad  un solo e unico monito: coinvolgimento.

Già, coinvolgimento: la chiave di tutto, tanto in attacco quanto in difesa. Da regista superbo e navigato, Stevens è stato in grado di plasmare a immagine e somiglianza del suo gioco i pur numerosi giocatori che di anno in anno si sono avvicendati sulla panchina dei Celtics, riuscendo a dar loro spirito e carne, identità e carattere. Non ingannino, quindi, le assenze di Kyrie Irving e del ben più sventurato Gordon Hayward: a Boston la stella è una ed è la squadra. La squadra intesa nel suo amalgama di talento individuale, fame di vittoria e spirito d’unione. La squadra intesa come plotone d’esecuzione pronto a seguire le direttive, a incassare i colpi quando necessario e poi a sferrare la stoccata decisiva.

“Giochiamo da Celtics: diamo sempre il massimo, ci supportiamo l’uno con l’altro” ha spiegato Al Horford al termine di gara2, stanco ma soddisfatto del risultato. Sì, perché nel corso di quella partita, l’onda d’urto di Cleveland si è fatta sentire eccome. Poi Boston ha suonato la carica, aggiudicandosi il terzo quarto 36-22 con una rimonta tutta di squadra, guidata da un infaticabile Marcus Smart che, con il suo ingresso in campo, è stato in grado di portare i suoi a +21, collezionando 9 assist e 4 preziosissimi rimbalzi.

Parte dell’identità di Personaggi come Smart, Tatum, Brown e Horford è merito suo, di quel Brad Stevens che siede in panchina con calma serafica e volto impassibile. E non ce ne voglia il nostro Pirandello se oggi ci prendiamo la briga di riprendere, ancora una volta, quell’espressione ossimorica in cui aveva riposto il senso ultimo del suo teatro per intenderla non più metaforicamente ma alla lettera. Sì, perché Brad Stevens è davvero la maschera nuda dietro cui si cela il successo di Boston. Brad Stevens è la maschera di un uomo come tanti, nuda e trasparente nell’impegno, nella perseveranza e nella coerenza, nell’empatia che unisce i cuori e corona le ambizioni. Certo, non è ancora detta l’ultima parola; ma il finale di questo copione si oreannuncia più entusiasmante che mai. E comunque vada, lo spettacolo andrà in scena.

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