L’NBA ha apportato delle modifiche al proprio calendario per la stagione 2017/2018 con l’intento di impedire alle sue superstar di riposare durante le partite di regular season. In tal senso le modifiche di pianificazione dovrebbero anche aiutare tutti i giocatori, non solo le superstar, a preservare il loro stato di salute, riducendo al minimo il rischio di infortuni.
L’argomento del riposo delle superstar tiene banco da diversi anni in NBA, sostanzialmente da quando coach Gregg Popovich decise di non far giocare le partite di back to back di regular season ai suoi giocatori di maggior rilievo, ovvero Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker, al fine di preservarne lo stato di salute in vista dei playoff.
Nel corso degli anni, poi, questa strategia è stata adoperata da quasi tutte le squadre, chi in maniera più marcata, chi in maniera più soft. Dal canto suo l’NBA, prima con Stern e adesso con SIlver, non ha mai visto di buon occhio questo atteggiamento da parte delle franchigie: in tal senso bisogna ricordarsi che l’NBA è anche, se non soprattutto, un business, e la gente paga il biglietto per vedere i propri idoli scendere in campo.
Tuttavia, nonostante qualche primo monito da parte della lega verso le squadre, negli ultimi tempi sembrava che la questione del riposo delle superstar fosse stata tacitamente accettata dall’NBA, fino a quando nella passata stagione non è stata nuovamente alimentata una forte discussione sul tema.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è da trovare in due episodi, ovvero l’incontro tra Warriors e Spurs (in diretta nazionale negli USA), in cui Golden State fece riposare Steph Curry, Klay Thompson, Draymond Green e Andre Iguodala e l’incontro tra Cavaliers e Clippers (sempre in diretta nazionale negli USA) in cui Cleveland fece riposare Kyrie Irving, LeBron James e Kevin Love.
I cambiamenti al calendario NBA sono stati resi possibili grazie all’anticipo dell’inizio del campionato di una settimana (ricordiamo a tal proposito che l’inizio della regular season scatterà il 17 Ottobre 2017). Le modifiche principali sono legate alla completa eliminazione di quelle situazioni in cui le squadre NBA potevano arrivare a giocare 4 partite in 5 giorni consecutivi (2 back to back a distanza di un giorno l’uno dall’altro) e 18 partite in 30 giorni consecutivi. Inoltre, sono stati ridotti di più del 50%, portandoli complessivamente da 90 a 40 i casi in cui le squadre possono trovarsi a giocare 5 partite in 7 giorni consecutivi.
Rispetto alle scorse stagioni, sono state poi complessivamente tagliate quaranta partite di back to back, ciò significa che ciascuna delle 30 squadre NBA giocherà uno o due back to back in meno. Un altro intervento è stato fatto sulle partite in trasferta, riducendo del 17% l’incidenza delle trasferte singole, ovvero quelle situazioni in cui una squadra si ritrova a dover affrontare la seguente sequenza di partite: casa – trasferta – casa. Per chi fosse poco avvezzo alle sterminate distanze che caratterizzano gli Stati Uniti d’America c’è da osservare che la sequenza ideale per non stressare troppo i giocatori è quella in cui ci sono almeno due trasferte consecutive, possibilmente in città non troppo distanti tra loro.
Un’ultima curiosità, infine, riguarda anche le partite che verranno giocate durante i weekend, con l’NBA che ha aumentato il numero in questione di 19 partite complessive (fino alla passata stagione si tendeva ad evitare partite di regular season durante la stagione NFL).