“Una vita da mediano
a recuperar palloni
nato senza i piedi buoni
lavorare sui polmoni,

una vita da mediano
che natura non ti ha dato
nè lo spunto della punta
nè del 10 che peccato”

 

“Matt, senza Kyrie, giochi te. In attacco fai il semplice, in difesa marchi Curry. Ok?”
“Ok, Coach”

Chissà, in quel momento, cosa ha visto passare davanti ai suoi occhi il buon Matthew Dellavedova, talento modesto e spirito guerriero. Magari un film a immagini delle volte, tante, che si è sentito rifiutato da un mondo troppo forte, alto, talentuoso per lui. Così  pensavano…

“Non può giocare a quei livelli, non può competere”.

Lo dicevano in Australia dove vinse una borsa di studio all’Australian Institute of Sport, poi in America al Saint Mary’s College of California, protagonista di stagioni eccelse con il ritiro recente della sua maglia numero 4. Ovviamente, lo dicevano in NBA.
Tu chiamale, se vuoi, rivincite.

dellav

8 giugno, Oakland, Oracle Arena, Finals 2015 – Gara 2 – Quanti fenomeni del basket mondiale vorrebbero esserci e non ci sono: Chris Paul, Blake Griffin, Kevin Durant, Russell Westbrook, Melo Anthony, James Harden, Tim Duncan.
Matt, sbeffeggiato dai più, c’è e gioca. Titolare.
Gli 816, 482 dollari del suo stipendio contro i 20 dei campioni predetti, adesso, sono tutto l’oro del mondo.

Ripescato dal dimenticatoio, coach Blatt dopo il forfait di Irving non ha alternative: affidarsi all’australiano. In gara 1 ha disputato 9 minuti, briciole di partita che ha subito, letteralmente. Il -13 di plus/minus lo testimonia. Ora, come un orologio che puoi scegliere di far funzionare a tuo piacimento, è chiamato a giocare minuti importanti in un match decisivo.
Blatt mette le pile, Matt riparte.

Personalità? Infinita.
Fatto 30, facciamo 31.

dellyDellavedova, Delly per i compagni, in quel palcoscenico non dovrebbe davvero starci. E’ basso (1.93), scarseggia in qualità offensiva (vero!), non ha fisico, neanche esperienza. Senza sapere come, supplisce alle notevoli mancanze: con passione e abnegazione, quegli occhi della tigre che non temono il confronto, non si arrendono davanti alle critiche, superano ostacoli. Il suo stile di gioco, pressing asfissiante ed uno tsunami di energia riversato sul parquet, è direttamente proporzionale alla consapevolezza dei propri limiti. Che Matt conosce e raggira, intelligentemente, senza forzare.

Trionfo della volontà sulla realtà.

Si butta, scalpita, è ovunque, corre e non si risparmia.
Si ribella al  destino, alla sua maniera.
Niente è impossibile, adesso ci credo: Dellavedova, quello che non può competere, sta in campo 42:27 minuti, tira male (3 su 10, 1 su 6 dall’arco) e mette 9 punti. In attacco per lunghi tratti è un fardello. Il capolavoro sta altrove, nella sua difesa sull’Mvp di regular season, Steph Curry. Non lo fa respirare, non lo degna di una ricezione agevole, lo tiene a 17 punti con 5 su 23 dal campo e, udite udite, 2 su 15 dalla distanza.

delly 2

Un misero 13,3 % per colui che tirava in questi playoff col 40% dall’arco.

Sospiro di sollievo, wow.
Ha limitato Curry, lo ha tenuto fuori gara. Lui, signor Nessuno, contro il 30, Signore dell’Nba.

Mentre intorno a lui impazza il marchingegno robotico e perfetto di LBJ, quella macchina difettosa di Matt si prende uno spazio inatteso, meritatissimo. L’innaturale, per un volta, supera il naturale.
La classe operaia non cede allo strapotere dell’aristocrazia.
Storia di sport, storia di vita.

If you want to be Working Class Hero is just follow me.
(cit. Matt)