Potrà sembrare scontato, ma se c’è una cosa che da sempre affascina chi osserva il mondo del basket questa è sicuramente l’altezza. Vi sarà capitato almeno una volta nella vita di assistere ad una partita di basket, anche in TV, con un amico non particolarmente avvezzo al gioco con la palla a spicchi: ad un certo punto anche a voi sarà giunta la fatidica domanda: “… ma quello quanto è alto?”.
Il “quello” di turno sarà sicuramente stato molto alto, forse sui 7 piedi (213 cm n.d.r.) se ha ottenuto l’attenzione del vostro amico, perché l’altezza nel basket, occorre ricordarlo, non è un concetto da poco quando l’obiettivo di ciascuna squadra è infilare un pallone all’interno di un canestro posto a 3,05 metri dal suolo di gioco (…capite bene che può tornare utile). Chi legge di basket spesso e volentieri è (o è stato) anche un appassionato giocatore di questo gioco, e chissà quante volte da ragazzo (o ancora oggi), durante una serie interminabile di tiri, ha desiderato diventare il più alto possibile, per poter un giorno magari giocare in NBA, quindi capite bene di cosa si stia parlando.
Pur crescendo con questo desiderio irrefrenabile di altezza, oggigiorno sappiamo benissimo che essere alti nel basket non è tutto, anzi sta diventando un concetto sempre più relativo rispetto al passato. In sempre più ruoli (qualora sia ancora corretto parlare di ruoli), infatti, si vedono giocare, e a volte dominare, i cosiddetti giocatori undersize.
Pensiamo a Draymond Green, ad esempio, campione NBA in carica che spesso e volentieri gioca da centro nello scacchiere di coach Kerr, dall’alto dei suoi 201 cm (e solamente perché ogni tanto le misure vengono ancora prese con le scarpe…). Okay, avete ragione, a volte i sistemi di gioco aiutano, ma negli ultimi anni quanti talenti smisurati abbiamo visto spiegarla a gente molto più alta di loro: Isaiah Thomas (175 cm), Stephen Curry (191 cm), e Derrick Rose (191 cm) solo per citarne alcuni ancora in attività (i dati sull’altezza anche in questo caso sono quelli ufficiali…), oppure come non dimenticare Steve Nash (191 cm) o Allen Iverson (183 cm), giusto per nominare un antesignano del genere del recente passato (osservate che in questo breve elenco abbiamo collezionato la bellezza di ben 6 MVP, e stiamo parlando, cestisticamente parlando, di “nani”).
Come facilmente intuibile sembra quasi che il concetto cestisticamente primordiale dell’altezza sia stato perduto, passato di moda, quasi estinto, eppure in un tempo non troppo lontano dai nostri giorni l’NBA è stata dimorata, e per certi versi dominata, da veri e propri giganti. Che fossero fenomeni o meno poco importava, ogni squadra voleva avere il suo gigante in squadra, un po’ per attirare gente alle partite (ricorderete il nostro amico poco appassionato di basket che rimane incuriosito dall’altezza), un po’ perché in fondo che cosa sarebbe il basket senza i suoi amati giganti?
-
Gheorghe Mureșan (231 cm)
È difficile comprendere cosa sia stato trovarsi di fronte a questo gigante rumeno, il più alto nella storia della NBA (pochi millimetri più alto di Manute Bol). Tutt’altro che fenomeno da baraccone, Mureșan nei suoi sette anni di militanza NBA (sei se si considera un’intera stagione saltata per infortunio) dimostrò di saper tenere il campo e di poter fare la differenza, arrivando addirittura a vincere nella stagione 1995/1996 il premio di Most Improved Player, ovvero di giocatore più migliorato rispetto alla stagione precedente, tenendo cifre di media da fenomeno NBA: 14,5 punti, 9,6 rimbalzi (di cui 3,3 offensivi), 2,3 stoppate con il 58,4% dal campo in appena 29,5 minuti di impiego. Falcidiato dagli infortuni a causa della sua spropositata altezza, fu costretto al ritiro nemmeno trentenne.
-
Manute Bol (231 cm)
5,0 stoppate di media nella sua stagione da rookie, basterebbe questo dato da fenomeno NBA per riassumere la carriera di questo guerriero Dinka. La storia di come sia arrivato a quella prima stagione NBA potrebbe benissimo essere il soggetto di un film, dal villaggio nel cuore del Sudan, passando per leoni uccisi brandendo solamente una lancia, fino al trasferimento a 20 anni negli USA senza saper (così pare) ne’ leggere ne’ scrivere.
Giocatore rivoluzionario, dovette arrendersi ad un fisico da fenomeno da baraccone, con i suoi soli 100 kg che lo rendevano vulnerabile nei confronti dei centri avversari, i quali, seppur più bassi, potevano dominarlo in potenza. Per questo motivo Don Nelson provò a trasformarlo in un tiratore da tre punti, con risultati alterni anzi, alla fine dei conti, abbastanza disastrosi (20,1% in carriera). Icona di un basket romantico, quello dove qualsiasi sogno può diventare realtà, ci ha purtroppo lasciati troppo presto, a soli 47 anni.
-
Shawn Bradley (229 cm)
In Space Jam chi non si è mai chiesto quale talento abbiano mai rubato i Monstars al lungo ex Mavericks? Già, perché forse l’unico talento posseduto da questo gigante naturalizzato tedesco sta proprio nella sua sconfinata altezza. Nel corso della sua carriera Bradley ha però saputo sfruttare pienamente a suo vantaggio questa caratteristica, dimostrando intelligenza e ritagliandosi un posto da solido role player nel corso di ben 12 stagioni NBA (non poche se paragonate a quelle degli altri due giganti di cui abbiamo parlato pocanzi). Spesso le tante schiacciate prese in testa ci hanno fanno dimenticare come in carriera Bradley abbia viaggiato a ben 2,5 stoppate di media, cui vanno aggiunti i più che onesti 8,1 punti e 6,3 rimbalzi. Primo giocatore nella storia NBA con almeno 10 stoppate in due partite consecutive per ben due volte. Sicuramente non un fenomeno NBA, ma neanche un fenomeno da baraccone.
-
Mark Eaton (224 cm)
Ci sono stati sicuramente altri (seppur sempre pochi) giocatori più alti di lui, ma Eaton non può non essere citato in questa breve rassegna dei giganti NBA per quello che è stato il suo contributo al mondo NBA alla voce stoppate: primo per miglior media in carriera (3,5), primo per miglior media in una singola stagione (5,6), primo per la miglior prestazione in una singola gara di playoffs (10), secondo per numero complessivo di stoppate in carriera (3.064 dietro al solo Hakeem Olajuwon).
Come per Manute Bol, anche la storia di Mark Eaton ha dei risvolti romantici, seppure in una salsa dal gusto completamente diverso. Prima di diventare un giocatore professionista, Eaton ha infatti svolto il lavoro di meccanico per ben tre anni, prima che Tom Lubin, assistente allenatore di basket presso il Cypress Junior College, ne intravedesse il potenziale (attenzione vedendolo fare il meccanico e non giocando a basket) e lo incoraggiasse verso la carriera cestistica.