La trade scioccante, compiutasi la notte del draft passato, che ha coinvolto Jimmy Butler, spedito dai Bulls a Minneapolis, potrebbe essere una mossa ancor più azzeccata e fondamentale per i futuri Timberwolves. Ciò è dovuto al fatto che, probabilmente, nella prossima stagione vedremo un Butler diverso, forse più motivato, ma, anche, sicuramente, un Jimmy Butler totalmente dedito alle questioni cestistiche che lo riguarderanno.
Non che Butler sia una “testa calda” fuori dal campo, però nelle ultime stagioni, in particolare quelle allenate e programmate da Coach Fred Hoiberg, Butler non ha vissuto sicuramente un rapporto idilliaco con tutta l’organizzazione dei Chicago Bulls, giocatori compresi.
Le recenti parole del nuovo Wolves sono state invece totalmente innocue e pacate nei confronti del suo ex coach:
“Io sono quel tipo di persona e di giocatore che tende a confrontarsi, ho bisogno di confronti. Ma a Chicago non ho avuto più questa possibilità, e questo mi ha fatto partire. Ma non si tratta di Hoiberg, non ho avuto nessun problema con lui.”
D’altronde Jimmy Butler tornerà dal suo maestro che tanto lo ha fatto crescere difensivamente, ma di certo non scorderà colui che, nelle ultime due stagioni, lo ha fatto crescere e maturare definitivamente dal punto di vista offensivo. Senza essere troppo esplicito, quindi, l’ex Eagle ribadisce come il problema di quei Bulls si trovasse e si trovi ai piani alti della franchigia che lo ha reso uno Star.
“Ora sono definitivamente felice. Si è trattato di Business, ma ora si tratta di organizzazione, e non c’è posto dove io possa essere più felice che nel Minnesota.”
Oltre agli screzi, poi apparentemente chiariti, avuti con Rondo, e non solo, Butler ha dovuto affrontare un situazione ben più delicata con la dirigenza dell’Illinois, faccenda terminata con un inevitabile divorzio. Nell’analizzare le parole di Butler infatti, sembra che la dirigenza stessa si aspettasse un carattere diverso e meno temperato da parte di Butler, il quale stava sempre più diventando il leader indiscusso per i Bulls, tranne che per gli altri due maschi Alpha della squadra: Wade e Rondo.
“Le circostanze cambiano, e io sono cambiato. Ma credo che la dirigenza volesse che io rimanessi sempre lo stesso. Sembrava che loro non dessero nessuna importanza alle mie idee. Questo potevo accettarlo quando ero un rookie, ma in un po’ di tempo le cose sono cambiate, io sono cambiato in meglio, ma il loro atteggiamento no”.
Evidentemente proprio i Bulls vedevano in Rondo e in Wade quella mentalità adatta per vincere, e non in Butler, che senza troppi ripensamenti è stato “girato” ai Minnesota Timberwolves.
Rimane comunque palese, il caos che, per molto tempo ha regnato, in maniera indelebile, nelle menti della dirigenza dei Bulls, i quali prima scambiarono Noah e Rose, anziani sia anagraficamente che, ahinoi, fisicamente, e poi firmarono Wade e Rondo, come se il Rebuilding non fosse stato mai un pensiero appartenente ai loro principi. Difatti, volenti o nolenti, due anni dopo, i Bulls si ritrovano, per forza di cose, a dover effettuare la propria ricostruzione.
La mentalità vincente e competitiva di Butler ha cozzato inevitabilmente con le scelte effettuate da una dirigenza definita chiaramente come perdente:
“C’è una differenza tra vincere e perdere, per questo non ho pressioni e non mi importa di chi pensa che io debba vergognarmi per la mia voglia di andare. Voglio far vedere a tutti che posso vincere qui.”
Se in Illinois hanno avuto quindi una abbondanza di leadership che non ha condotto a nulla di buono, ora a Minneapolis hanno sicuramente trovato il capobranco che guiderà le giovani stelle a futuri e sperati successi.